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Writer's pictureNicolò Govoni

Avevo 24 anni

Avevo 24 anni quando ho guardato l’ingiustizia negli occhi per la prima volta. Davanti a me, una scelta: stare a guardare o mettermi in gioco. Questa decisione ha cambiato la mia vita per sempre.


Mi chiamo Nicolò, sono nato a Cremona nel 1993. Avevo vissuto quattro anni in India prima di approdare a Samos, in Grecia. In India avevo visto la povertà, la disperazione, ma anche grande speranza negli occhi dei bambini che supportavo. A Samos, invece, negli occhi dei bambini la speranza non c’era più.


“Samos è un’isola idilliaca,” dicevano tutti. “A cosa servono i volontari?” Ed è vero, mare cristallino, spiagge incontaminate, flotte di turisti che affollano le taverne ogni estate: una classica isola greca. Eppure Samos nasconde un segreto. Tra le sue colline verdeggianti sorge l’hotspot, un campo profughi dove 4000 esseri umani sono imprigionati in una struttura costruita per 650. La metà sono donne e bambini.


Avevo 24 anni quando ho visto con i miei occhi un lager moderno.


I bambini dell’hotspot vivevano in tenda, tra i ratti e le mosche, senza bagni, senza dottori e senza scuola. La situazione era terribile, e io ero solo un volontario davanti alla crisi umanitaria più grave d’Europa. Ma non mi sono lasciato scoraggiare. Con l’aiuto di Sarah ho creato una classe in cui i bambini siriani, afghani, iracheni e congolesi potessero imparare e stare al sicuro ogni giorno. Li ho ribattezzati “Dreamers”, i miei piccoli sognatori.


È stato proprio in classe che ho visto un barlume di speranza riapparire nei loro occhi.

Purtroppo, però, il mio tempo a Samos era limitato. Ero lì solo per due mesi, poi sarei ripartito per gli Stati Uniti per fare un Master prestigioso. Dovevo pensare a me, alla carriera. Era la cosa “giusta” da fare, lo dicevano tutti. Ma come potevo lasciarmi questi ragazzi alle spalle sapendo di essere il loro unico punto di riferimento?


Come potevo abbandonarli?


Semplice: non potevo. Checché ne dicesse la gente, il mio cuore batteva per i Dreamers. Sono rimasto. Ho rinunciato al Master e alla cosiddetta carriera. “Sei pazzo,” dicevano amici e famigliari. “Stai buttando via il tuo futuro.”


Tre anni dopo so che è stata una delle scelte migliori della mia vita.


Ma le sfide erano appena iniziate. Tra i Dreamers c’era un bambino, Hammudi, che subiva violenze in famiglia. Ho fatto di tutto per aiutarlo. Mi sono appellato alle autorità, alle grandi organizzazioni umanitarie, ai media. Hammudi era la mia Missione. Ma nessuno ha alzato un dito. L’hanno ignorato, e per la prima volta io mi sono scontrato con la corruzione del sistema.


Hammudi ha continuato a soffrire.


La mia impotenza, la consapevolezza di averlo deluso mi hanno distrutto. Ho trascorso mesi terribili, sull’orlo della depressione. Avevo forse sbagliato a restare? Era questa la verità, che la giustizia non esiste e che combattere non serve a nulla?


Ero a terra. Davanti a me, un’altra decisione: arrendermi o reagire. Di nuovo, sono stati i Dreamers a convincermi. Dopo nove mesi insieme, la speranza era tornata a fiorire nei loro occhi, e questo mi ha dato il coraggio necessario. Perché le cose andavano male e il mondo era un luogo oscuro, certo, ma c’era anche tanta luce, e per essa valeva la pena di lottare.


E così abbiamo fatto.


Insieme a Giulia e Sarah, abbiamo fondato Still I Rise, la nostra ONLUS indipendente. Per opporci a un sistema malato. Per creare un’alternativa al business umanitario dell’Europa e dell’ONU. Per aiutare, per aiutare davvero.


Per aprire una Scuola.


Ci siamo subito messi all’opera. Abbiamo affittato un edificio e l’abbiamo ristrutturato completamente . L’hotspot era al collasso, non c’era più tempo. Nel giro di un mese abbiamo creato un porto sicuro in un luogo dove prima regnavano rabbia e lacrime. E l’abbiamo chiamato Mazì – “Insieme”.


Avevo 25 anni quando abbiamo aperto la prima Scuola per bambini e adolescenti profughi di Samos.


Nei suoi primi mesi di vita Mazì è diventata un esempio di pace, amore e rinascita. Presto si è sparsa la voce della nostra Scuola, e i media hanno iniziato a scrivere di noi e dell’hotspot, rompendo il silenzio che per anni le autorità avevano imposto per coprire i propri crimini.


E la cosa più bella è che sono stati proprio i bambini a raccontare la verità. La loro verità.

Abbiamo dato ai nostri studenti una macchina usa-e-getta per raccontare senza filtri un mondo che a pochissimi è dato vedere. Così è nata “Attraverso i nostri occhi”, la nostra mostra itinerante.


“Attraverso i nostri occhi” è qualcosa di unico, qualcosa di necessario. Doveva essere una semplice mostra scolastica, ma in pochissimo tempo ha raggiunto i quattro angoli del mondo. Dal “New York Times” al “Guardian”, da “Repubblica” al “Corriere della Sera”, tutte le testate più importanti ne hanno parlato, portando le storie dei bambini dimenticati davanti agli occhi del mondo.


È stato incredibile.


Non ci siamo fermati. Forti della verità, abbiamo avviato la prima denuncia penale contro le autorità dell’hotspot di Samos per abuso e negligenza contro i minori non accompagnati. L’abbiamo portata davanti al Parlamento italiano. L'abbiamo portata in Parlamento Europeo.


Ma nonostante tutti i nostri sforzi, ancora una volta nessuno ha fatto niente. Ancora una volta, solo negligenza, omertà, abusi. Quanto avrebbe tenuto ancora l’hotspot prima di raggiungere il punto di rottura?


Poco, purtroppo. Una notte d'ottobre nel 2019, è accaduto quello che temevano da anni. L’hotspot di Samos è andato a fuoco. Oltre 500 persone hanno perso tutto. Di nuovo, le autorità sono rimaste a guardare – anzi, hanno persino chiuso i cancelli del livello dei minori non accompagnati mentre il campo bruciava, con i ragazzi dentro.


Per tutta risposta, noi abbiamo aperto Mazì accogliendo centinaia di famiglie disperate quella notte. E così, la Scuola più bella del mondo ha iniziato a salvare vite umane.


Una volta domate le fiamme, siamo passati all'azione. L'incendio ci aveva colmati di indignazione, stavolta le autorità non l'avrebbero passata liscia. Insieme a un gruppo di avvocati abbiamo portato la nostra denuncia davanti alla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, aggiungendo la testimonianza dei ragazzi che la polizia aveva intrappolato durante l’incendio.


E per la prima volta da sempre, abbiamo vinto.


Ricordo le lacrime di Giulia quando ha ricevuto la fatidica telefonata come se fosse ieri. Per la prima volta nella storia, una Corte internazionale aveva riconosciuto l'illegalità dell'hotspot. Era un punto di svolta, finalmente il tanto sospirato vento di cambiamento.

E poi è arrivato il 2020.


Il coronavirus ha cambiato tutte le carte in tavola. Il lockdown del campo e la chiusura temporanea di Mazì sono stati dei duri colpi per tutti noi. Ma il peggio doveva ancora venire. Nella cecità mondiale, le autorità hanno strumentalizzato la pandemia per ultimare il loro diabolico piano: trasformare l’hotspot in un vero e proprio campo di prigionia.


E ce l’hanno fatta, indisturbati.


O meglio, pensavano di avercela fatta, almeno fino all’incendio di Moria. Tre settimane fa, sull’isola di Lesbo, un manipolo di menti instabili ha perso la ragione, dando fuoco all’hotspot più grande d’Europa. Quella notte 13 mila esseri umani hanno rischiato la vita, e le politiche europee hanno fallito definitivamente.


Vedere il nostro peggiore incubo diventare realtà è stato terribile. Ma, al contempo, la distruzione di Moria ha cambiato tutto. Il fallimento dell'Europa ora è inconfutabile: questa è la nostra più grande occasione di cambiare il sistema. L’unica, forse.


Questo è il momento di unirci, coordinarci e combattere insieme l'ultima battaglia, quella per cambiare il sistema.


Insieme a oltre 400 organizzazioni umanitarie, parlamentari, politici e personaggi pubblici, abbiamo lanciato la più grande campagna di raccolta firme nella storia della migrazione europea.


Ci siamo riuniti. Ci siamo riuniti per dire: “BASTA!”

Per dire: “Non a mio nome.” Per dire: “Se non noi, chi? Se non ora, quando?”

E così, pochi giorni fa, la Procura di Roma ci ha contattati. “Abbiamo inoltrato la vostra denuncia alla Corte Europea di Giustizia. I crimini di Samos saranno indagati a livello internazionale."


E non sarà certo il traguardo finale, no, ma è un’altra importante vittoria per un’Europa più giusta. Un’Europa possibile. Un’Europa necessaria. Un'Europa che spetta a noi creare.


Tre anni fa ho guardato l’ingiustizia negli occhi per la prima volta. Avrei potuto voltarmi dall’altra parte, sarebbe stato più facile, ma ho scelto di restare e rimboccarmi le maniche. Oggi ho 27 anni, quattro Scuole e migliaia di bambini nel mondo.


Se mi guardo alle spalle stento a credere a tutto quello che abbiamo costruito: siamo riusciti a cambiare, almeno un po’, un sistema corrotto. Ci siamo riusciti insieme. E se guardo al futuro, ecco che mi si gonfia il cuore pensando a tutto il bene che abbiamo ancora da fare.


È per questo futuro che abbiamo trasformato “Attraverso i nostri occhi” in un libro. Per continuare a lottare. Per amplificare la voce di chi vive imbavagliato. Per continuare a sognare. Per costruire un mondo più bello, insieme.


Proprio così, insieme, come Mazì. Insieme perché per la prima volta non ho scritto questo libro da solo, l’ho scritto con i nostri ragazzi. L'ho scritto insieme a decine e decine di mani e menti e cuori pulsanti, che per la prima volta trovano in queste pagine lo spazio per raccontarsi e mostrarci la loro vita.


“Attraverso i nostri occhi” si apre con una mia favola, la prima che abbia mai scritto, una storia di amicizia e di integrazione e dell’importanza di non perdere mai la speranza. Continua con le lettere di Nicoletta, l’ideatrice della mostra, che offrono una chiave di lettura intima e personale al progetto. E infine arriviamo al cuore dell’opera: le foto e le storie dei nostri ragazzi. Qui le loro speranze, le loro paure e i loro sogni si intrecciano in un racconto profondamente onesto, privo di filtri e finzioni. Un racconto vero.


Indispensabile.


“Attraverso i nostri occhi” è verità e fantasia, spensieratezza e denuncia. Ma soprattutto è tenacia e umanità e quest’incontenibile voglia di vivere che solo i bambini serbano nel cuore. È un libro a cui tengo tantissimo: dà voce ad alcune delle persone che amo di più al mondo.


Possa quindi il nostro libro portare con sé un Cambiamento necessario. Possa risvegliare Emozioni che pensavi perdute. Ma soprattutto, possa darti l’Amore di cui hai bisogno. In un anno come questo, l’amore è la cosa più preziosa.


“Attraverso i nostri occhi” esce il 3 novembre in tutte le librerie d'Italia. L’intero ricavato manderà a Scuola i nostri bambini in Siria. Preordinalo e condividi questo post ora. Il tuo contributo è importantissimo:



Un forte abbraccio,

Nicolò

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